Il copista
“Il copista” – Marco Santagata
Recensione di @gennaroannalisadi
Attraverso una narrazione che cattura e coinvolge Marco Santagata, critico letterario e docente universitario recentemente scomparso, delinea il ritratto di colui che si è soliti definire il precursore dell’Umanesimo.
Ci troviamo a Padova, è un freddo e nebbioso venerdì di ottobre, quando Francesco Petrarca, angustiato da diversi problemi allo stomaco che lo tormentano da un po’, si accinge a scrivere una canzone, “Standomi un giorno solo a la fenestra”. Il lettore si trova presto coinvolto nella descrizione dell’animo di un uomo ormai stanco, ma nello stesso tempo fortemente consapevole dell’enorme eco suscitata in tutta Europa dal suo importante e altisonante nome.
E così con uno stile narrativo, a mio avviso, a tratti irriverente, ma forse proprio per questo tanto più significativo, Santagata riesce nell’intento di mostrarci la parte più intima e umana del grande poeta, passando attraverso le dolorose vicende della sua vita, dai figli legittimi e non, all’abbandono, evento questo, a detta dell’autore stesso, romanzato, dato che la critica più recente non ne ha riscontrato alcun fondamento storico, da parte del caro copista Giovanni Malpaghini, futuro docente universitario a Firenze, considerato da qualcuno superiore persino al suo maestro per la purezza dello stile latino, fino alla forzata convivenza con la serva Francescona e ai brevi cenni alla figlia Francesca e al genero Francescuolo, per i quali si percepisce Petrarca nutrisse autentico e sincero affetto.
Un testo che dona al lettore un’immagine del poeta aretino umana, concreta, tangibile, tormentata, per gran parte della sua esistenza, da profonda inquietudine, insoddisfazione e soprattutto da quella che comunemente si è soliti definire accidia, ossia la condizione che non gli consentiva di mutare il proprio atteggiamento davanti alle circostanze, pur sentendone la necessità e l’obbligo.
Ritratto che resta in memoria per l’originalità con cui è stato pensato e costruito, che consiste nel non separare il poeta dall’uomo come invece, per abitudine consolidata, si è soliti fare.
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